Sui Demoni di Dostoevskij

Le ventitré circa.
Seduto su di una panchina di legno, in una piccola piazza fatiscente e deserta, fantastico sull’arrivo di una miracolosa fanciulla. Eccola giungere, materializzarsi all’improvviso. Si siede sulla panchina accanto alla mia, ed apre un libro piuttosto spesso. Dalla mole, intuisco che si tratta di un Classico. Dopo alcuni minuti di titubanza, le rivolgo la parola, timido ed impacciato.
«Di grazia, cosa legge?».
Non mi risponde. Devo solamente aver pensato la domanda, non avergliela rivolta a causa di quell’ingenita vigliaccheria che mi contraddistingue, in particolar modo con le donne.
«I demoni di Dostoevskij», sussurra lei, con una voce delicata ed armoniosa, aggiungendo:
«L’ho capito dal suo atteggiamento inquieto che voleva chiedermi questo». Ha parlato senza staccare lo sguardo dal capolavoro.
Sorrido come inebetito, incredulo. Giro in fretta una sigaretta, mascherando il disagio con una falsa disinvoltura. La fumo avidamente. Contemporaneamente penso che non possa trattarsi solamente di un caso, preda di un inedito fatalismo che non mi appartiene, che non mi è mai appartenuto. Una incontenibile brama di conoscere l’incredibile sconosciuta mi agita, mi consuma più in fretta di quanto il leggero vento freddo non consumi la sigaretta quasi del tutto estinta. Inspiro un’ultima, ampia e profonda boccata di fumo.
«Le piace particolarmente Dostoevskij?».
È quel che avrei voluto chiederle, ma è ancora lei a precedermi. Questa volta ha abbandonato la lettura e si è rivolta verso di me. Finalmente posso ammirarla. La sua bellezza mi abbaglia. Non poteva essere altrimenti.
Il suo grazioso volto ricorda quello di una madonna rinascimentale. Un volto diafano, porcellaneo, velato da qualche impercettibile lentiggine, impreziosito da occhi chiari e sereni, ed incorniciato da una folta e mossa chioma color rame scuro.
Preda di una vivida ed estatica emozione, mi sforzo di trovare una risposta adeguata all’incalzante quesito.
«Personalmente, reputo Dostoevskij il più grande scrittore di sempre».
«Lo immaginavo. E sa da cosa? Dal modo in cui i suoi occhi, fino a quell’istante spenti, smorti si sono accesi quando le ho svelato il titolo e l’autore del libro che sto leggendo».
Raramente mi è capitato di incontrare persone dotate di una tale perspicacia, così attente ai dettagli, tanto più che lei, nel momento in cui pronunciava «I demoni di Dostoevskij», non mi stava osservando. Imbarazzato glielo faccio notare.
«Non ha importanza», mi risponde, accompagnando alle placide parole un sorriso carezzevole che mi avvolge e mi riscalda.
«È la terza volta che leggo questo monumento letterario», mi informa, sempre rivolta verso di me.
«Io invece lo sto leggendo proprio in questi giorni solo per la seconda volta», rispondo, oramai appassionato alla sua persona.
Mi trasmette una miracolosa sensazione di calma ed al tempo stesso di ammirazione, come quando si osserva il mare quieto.
«Dunque Dostoevskij è il suo autore preferito. Quale dei suoi capolavori predilige?».
Finalmente prendo coraggio. Il suo atteggiamento propositivo, ma pacato mi mette a mio agio. La sua bellezza mi acceca, sì, ma non mi imbarazza.
«A tal proposito, mi permetta una ampia divagazione, anche se temo di annoiarla, peggio, di tediarla, con il mio accademismo».
«Non si preoccupi. Del resto, sono qui per questo».
«La ringrazio. In queste ultime settimane ho elaborato dei miei canoni letterari, uno dedicato alla prosa ed al teatro, l’altro invece dedicato alla poesia, al fine di indirizzare al meglio le mie letture. Ogni canone è suddiviso in tre categorie, possiamo definirle approssimativamente così. La prima, e più importante, categoria l’ho intitolata I Monumenti, e raccoglie le opere più grandi, quelle imprescindibili. La seconda categoria, I Capolavori, contiene invece quelle opere straordinarie che si trovano appena un passo sotto ai cosiddetti Monumenti. Infine, la terza categoria contiene i Classici, ovvero tutto ciò che resta della grande letteratura. L’area dei Capolavori è integrabile, nel senso che un Classico, magari non ancora letto, oppure letto senza la necessaria attenzione, può entrare a farne parte. Detto ciò, tra i Monumenti ho collocato, ovviamente senza un ordine, Gente di Dublino, Ritratto dell’artista da giovane ed Ulisse di Joyce, Alla ricerca del tempo perduto di Proust, L’uomo senza qualità di Musil, Resurrezione, Guerra e pace ed Anna Karenina di Tolstoj, Padri e figli di Turgenev, I Buddenbrook e La montagna incantata di Mann, I miserabili di Hugo, Faust di Goethe ed infine L’idiota, Delitto e castigo, I demoni ed I fratelli Karamazov di Dostoevskij».
«Dunque sono questi i suoi romanzi preferiti di Dostoevskij».
«Si, ma se proprio devo sceglierne uno, scelgo I demoni. Mi lega a questo libro un affetto viscerale. È stato il primo grande romanzo che ho letto, quello che mi ha iniziato all’immensa prosa letteraria. Prima dei Demoni prediligevo i versi, leggevo solamente versi, di Baudelaire soprattutto. Per quanto mi riguarda, I demoni sono come il primo amore».
Non avrei voluto pronunciare una frase così dannatamente romantica, smielata. La osservo nuovamente imbarazzato. Lei mi sorride, rassicurandomi con queste parole:
«Stia tranquillo. Parlare d’amore non è mai banale per chi, come lei, come me, vive un’esistenza non convenzionale. Per la moltitudine l’amore è il sentimento più normale e scontato del mondo. Per noi no. Per noi ha ancora un’immensa importanza, e ci accaloriamo parlandone».
Le sorrido di rimando, sinceramente grato. Queste sue parole sono una lieve carezza sul capo.
«Tornando ai Demoni, cos’è che le piace di più?», mi chiede.
«Nei Demoni c’è una latente atmosfera di inquietudine, un latente anelito all’autodistruzione che, fondendosi, danno vita ad un lungo incubo che angoscia, ed al tempo stesso affascina».
«E tutto ciò è amplificato, e dal sogno si passa alla realtà, grazie alla straordinaria capacità di Dostoevskij di catapultare il lettore nella vicenda. Il lettore non è un estraneo. Diviene egli stesso parte integrante del romanzo, osservando da vicino ogni minimo particolare dei torbidi personaggi. A tal proposito, qual è il suo personaggio favorito?».
«Kirillov», le rispondo d’impatto, senza un attimo di esitazione.
«Perché proprio Kirillov?».
«Credo che Kirillov si trovi in una condizione ideale. Invidiabile. Egli è tutto immerso in una idea, che avrà addirittura il coraggio di mettere in pratica. È approdato alla felicità. Kirillov è felice, come forse nessun altro personaggio dei Demoni, è giunto all’autentica felicità. Consapevole dell’epicurea verità fondamentale ignorata stupidamente ed autolesionisticamente dal genere umano, “La vita esiste, la morte non esiste”. È convinto che tutto sia bello e buono. È un essere fortunato Kirillov, un nichilista ottimista».
«E lei?».
«Io sono un nichilista e basta. Nulla ha senso per me, dunque nulla merita di essere neppure giudicato a causa della sua vacuità e della sua inutilità. Qual è invece il suo personaggio preferito?».
«Io li amo tutti. Amo l’autoritaria Varvàra Petròvna succube del figlio, la nervosa e bellissima Lizaveta Nikolàevna, la demente zoppa Mar’ja Timofèevna, l’infantile occidentalista padre ideale dei deviati nichilisti Stepàn Trofimovič, il bugiardo e viscido saltimbanco del male Pëtr Stepanovič, il devastato Šatov, il suicida Kirillov, e poi l’angelico Stavrògin…».
«Stavrògin è magnifico», intervengo io, infervorato dalla possibilità di conversare di tutto questo con una giovane e bella donna, «è un uomo consumato, sfibrato dalla più violenta lussuria, giunto ben al di là del bene e del male. Vive in uno stato in cui tutto gli è indifferente, e dunque tutto gli è permesso. Uno stato terribile, in cui ogni cosa viene cancellata dal disinteresse, in cui la volontà individuale non esiste più, deformata in nolontà. Stavrògin non è un uomo, è altro, è un individuo, o meglio, una creatura giunta in largo anticipo ad una fase pre-mortuaria solitamente sconosciuta agli uomini. È come se vegetasse per inerzia in attesa dell’imminente e desiderata fine».
«Stavrògin è un angelo», è lei a riprendere la parola, «è l’uomo divenuto angelo, completamente privo di sentimenti, di passioni. Ma l’uomo divenuto angelo non può vivere a lungo, non può sopportare più di tanto la condizione terrena in cui si trova, e allora si annienta svanendo per sempre nel nulla».
La osservo serio ed estasiato, rapito dalle sue parole, che sembrano incredibilmente trasposizioni dei miei pensieri. Nel suo sguardo ritrovo quello stesso mistero già intravisto nello sguardo della Madonna Sistina di Raffaello.
Dirigendo gli occhi a terra, così da poter celare l’imbarazzo, azzardo un complimento, a bassa voce, con estrema delicatezza:
«Sa, lei è l’interlocutrice ideale».
«Infatti non esisto».
Raggelato da quest’ultima frase, rialzo gli occhi e mi volto nella sua direzione. Così come è apparsa, è svanita. Al suo posto c’è un povero vecchio ubriacone addormentato. Chissà da quanto tempo è qui accanto a me. Sorrido amareggiato, scuotendo lievemente il capo.
C’è poco da fare, la vita procede per monologhi.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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